Quando iniziammo a lavorare al nostro primo spettacolo per bambini, ci eravamo trasferiti da poco nella macchia umbra. Dopo la costruzione delle gradinate dell’anfiteatro naturale ai limiti del bosco, cominciammo a riaprire alcuni spazi fra i lecci e le ginestre sotto il casolare e alcuni piccoli alberelli si trasformarono in spaventapasseri. Nacque così l’avventura di questo spettacolo; a partire da un testo su cui Alessandro aveva già lavorato come attore insieme all’associazione Anffas di Desenzano del Garda.
La costruzione dei materiali e la costruzione dei personaggi si sono avvicendate nel processo di creazione.
Siamo partiti da una cupola geodetica d’acciaio rivestita in moduli di cotone bianco. Sopra la struttura abbiamo fissato i due spaventapasseri, mentre dall’interno – pensato come un teatrino per burattini – fuoriuscivano i protagonisti delle diverse scene: un merlo, una gazza, un passero e due bruchi di pezza.
Per animare i due personaggi principali della storia abbiamo iniziato a lavorare sullo sviluppo della comunicazione e del linguaggio nel bambino con particolare riferimento alla psicologia cognitiva. Anche alcuni appunti di glottologia ci sono tornati utili alla creazione della sequenza ritmica iniziale dove lallazione, babbling, comprensione e produzione delle prime parole, “accelerazione” del vocabolario, portano ad un’immediata combinazione della grammatica e alla comparsa delle prime frasi… in rigoroso accento bresciano!
Avevamo già lavorato in precedenza su una caratterizzazione del personaggio a partire da una cadenza, un accento o un’influenza dialettale. I nostri spaventapasseri sposi non solo parlano con una cadenza bresciana; quando la poetica dell’amore sospende il racconto è la lingua bresciana, il dialetto natìo che si fa suono… abbracciando i fonemi di una cultura contadina che non dice ti amo ma aqua, giàs, sàs e raìs.